Vitamina D in pediatria, ieri, oggi e domani



La storia della scoperta della vitamina D ha inizio un secolo fa, quando nel 1919 venne evidenziato che bambini affetti da rachitismo guarivano se esposti alla luce ultravioletta. Nel 1922 venne ipotizzata l’esistenza di un composto liposolubile essenziale per il metabolismo delle ossa, studiando l’azione antirachitica dell’olio di fegato di pesce. La struttura della vitamina D venne identificata nel 1930.

Per vitamina D si intende un gruppo di pro-ormoni liposolubili costituito da 5 diverse vitamine: vitamina D1, D2, D3, D4 e D5. Le due forme più importanti nelle quali si può trovare sono la vitamina D2 (ergocalciferolo) e la vitamina D3 (colecalciferolo), dall’attività biologica molto simile. La D3 deriva dal colesterolo ed è sintetizzata negli organismi animali, mentre la D2 è di origine vegetale.

Ieri

La storia della vitamina D si intreccia fin dall’inizio con quella del rachitismo, una condizione che non riguarda solo il passato di questo ormone. Studi internazionali del 2019 hanno infatti evidenziato una recrudescenza di questa patologia ai giorni nostri, creando una sorta di fil rouge tra passato e presente della vitamina D.

«Una delle nuove azioni della vitamina D, che si studia solo da 10-15, riguarda gli effetti extrascheletrici, come uno degli altri target a parte il tessuto osseo. Già 40 anni fa a Boston si trattava la psoriasi con una applicazione topica della forma attiva della vitamina D, il calcitriolo, pensando di sfruttarne uno degli effetti extrascheletrici che sarebbero stati chiari solo 20 anni dopo» ha raccontato a Pharmastar il Prof. Giuseppe Saggese, già direttore della Cinica Pediatrica, Università degli Studi di Pisa.

Oggi

«Oggi è molto chiaro il ruolo della vitamina D sulle azioni scheletriche, come la prevenzione del rachitismo che ha avuto una recrudescenza anche a seguito dell’immigrazione, oltre a un aspetto a cui in passato si dava poca importanza, ossia l’acquisizione della massa ossea, un processo che inizia alla nascita e termina intorno ai 20 anni» ha aggiunto.

La massa ossea che viene acquisita durante infanzia e adolescenza costituisce il patrimonio osseo che ogni individuo si porterà dietro per tutta la vita. Quindi la prevenzione dell’osteoporosi si fa raggiungendo un buon picco di massa ossea nei primi 20 anni di vita, processo a cui la vitamina D contribuisce insieme ad altre componenti quali i fattori genetici, l’apporto di calcio, fattori ambientali, fattori nutrizionali e attività fisica.

«Conosciamo abbastanza bene anche le azioni extrascheletriche. In base ai nuovi studi sembra che sia possibile controllare le azioni scheletriche con valori sierici intorno a 20-30 ng/ml, mentre per quelle extrascheletriche sarebbero necessari valori superiori a 30» ha continuato Saggese. «Nulla è ancora certo, ma dato che stato di ipovitaminosi diventa un fattore modificabile di rischio, il pediatra deve fare una anamnesi accurata e applicare il suo giudizio clinico per valutare la necessità di una supplementazione di vitamina D. Ed è importante che non si limiti al primo anno di vita, ma prosegua negli anni successivi per ottimizzare i processi di acquisizione della massa ossea, senza dimenticare che oggigiorno gli adolescenti si espongono meno all’aria aperta rispetto al passato ed è importante fare in modo che abbiano uno stato vitaminico D ottimale».

Effetti extrascheletrici della vitamina D

Oltre agli effetti sul metabolismo minerale e osseo, la vitamina D è in grado di stimolare la produzione di proteine muscolari e di attivare alcuni meccanismi di trasporto del calcio a livello muscolare, essenziali per la contrazione. In condizioni di ipovitaminosi D sono stati descritti quadri di miopatia dei muscoli prossimali degli arti, come anche sarcopenia, riduzione della forza muscolare con disturbi dell’equilibrio e conseguente aumento dei rischi di cadute.

Altro ruolo rilevante è quello immunomodulante. Una carenza di vitamina D si associa a una maggiore predisposizione alle infezioni (in particolare alla TBC) e ad alcune patologie autoimmuni quali la sclerosi multipla.

È in grado di modulare l’azione di molte sostanze coinvolte nella regolazione della pressione arteriosa e nella progressione dell’aterosclerosi. Una sua carenza si associa a una maggiore frequenza di infarto del miocardio, scompenso cardiaco e ischemia cerebrale.

Oltre all’osservazione che alcuni tipi di tumore sono più frequenti nelle regioni che godono di una minore esposizione solare, è stato rilevato che il rischio di tumore della mammella, colon, prostata, e in parte pancreas, ovaio e linfomi sia nettamente maggiore nei soggetti con bassi livelli di vitamina D.

Infine è uno dei fattori in grado di controllare la secrezione insulinica. Secondo alcuni dati, buoni livelli di vitamina D riducono il rischio di sviluppare il diabete.

Domani

«Nei prossimi anni sarà importante avere conferma delle nuove ricerche sul ruolo extrascheletrico della vitamina D, in modo da avere un nesso di casualità più chiaro tra la vitamina e i suoi effetti», ha concluso Saggese. «Di recente si è parlato di potenziali azioni sulle malattie autoimmuni e sui tumori, in particolare sul cancro del colon, per i quali cominciamo ad avere abbastanza dati dai trial clinici. Nuove prospettive emergono dalla constatazione di una maggiore incidenza di tumori o del diabete di tipo 1, una malattia autoimmune, nei paesi sia statunitensi che europei che godono di una minore irradiazione solare».