Pubblicato sabato 13 luglio 2019
La vitamina D è considerata la vitamina del sole ed è stata prodotta sulla terra per oltre 500 milioni di anni. Il suo ruolo principale è quello di garantire l’efficiente assorbimento del calcio intestinale da fonti alimentari. Livelli adeguati di vitamina D derivanti dalla luce solare o dalla dieta sono fondamentali per l’omeostasi scheletrica nella maggior parte dei vertebrati.
La produzione di vitamina D nel corpo
La produzione di vitamina D si verifica durante l’esposizione al sole quando il 7-deidrocolesterolo nella pelle assorbe la radiazione UV B e viene convertito in previtamina D3 che a sua volta viene convertita in vitamina D3. Sia la previtamina D3 che la vitamina D3 hanno la proprietà di assorbire le radiazioni UV B e di essere convertite in vari fotoprodotti che hanno proprietà biologiche uniche.
Visto il ruolo fondamentale della luce solare, la produzione di vitamina D è influenzata da diverse variabili, come:
• la stagione,
• l’ora del giorno,
• la latitudine,
• l’altitudine,
• l’inquinamento atmosferico,
• la pigmentazione della pelle,
• l’uso della protezione solare,
• l’invecchiamento.
Dopo la sintesi la vitamina D viene metabolizzata nel fegato dove viene convertita in 25-idrossivitamina D, o 25 (OH) D, che è la principale forma circolante di vitamina D, e la sostanza che viene monitorata dai medici per misurare il livello di questa sostanza. Il 25 (OH) D viene metabolizzato nei reni, grazie a un enzima detto CYP27B1(25-idrossivitamina D-1 alfa idrolasi) e convertito nella forma attiva circolante a livello sistemico: 1,25-diidrossivitamina D [1,25 (OH) 2D].
La sintesi renale di 1,25 (OH) 2D è modulata da diversi fattori, come il fosforo sierico, il calcio, il fattore di crescita del fibroblasto 23 (FGF-23), il paratormone (PTH) e il 1,25 (OH) 2D stesso. Tuttavia, può verificarsi anche la produzione di 1,25 (OH) 2D, in una moltitudine di tessuti, tra cui ossa, placenta, prostata, cheratinociti, macrofagi, linfociti T, cellule dendritiche, diverse cellule tumorali e la ghiandola paratiroidea, dove il CYP27B1 è espresso all’esterno dei reni.
Come capire le analisi del sangue
Il livello di Vitamina D viene valutato attraverso un dosaggio nel sangue, che viene così interpretato, con qualche variazione, secondo i diversi laboratori e soprattutto secondo i dettami delle differenti società mediche:
• carenza 100 ng/mL
Il fabbisogno giornaliero di vitamina D è di 0-15 μg, sia per gli uomini che per le donne. Lo zero iniziale può sorprendere, ma sottolinea la capacità dell’organismo di sintetizzare la vitamina D, anche in presenza di una scarsissima assunzione, grazie all’esposizione alla luce.
In linea di massima la concentrazione di vitamina D non dovrebbe scendere sotto ai 20 ng / mL (50 nmol / L) nella popolazione generale, ma si raccomanda di mantenere livelli superiori a 30 ng / mL (75 nmol / L) nei soggetti:
• con osteopenia, osteoporosi o fratture da fragilità;
• in trattamento per l’osteoporosi;
• appartenenti alle categorie a rischio.
Il pieno di vitamina D
Per “fare il pieno” di vitamina D è fondamentale l’esposizione alla luce solare. Stare all’aperto un’ora al giorno, con mani, braccia o viso scoperti, è sufficiente per una normale produzione. Negli anziani, che in genere escono poco e sono sempre molto coperti, possono essere indicati supplementi di questa vitamina.
Una quantità minima di vitamina D viene introdotta attraverso il cibo. Il numero di alimenti che la contengono naturalmente in quantità significative è molto limitato, e include
• pesce, come il merluzzo, pesce grasso come salmone, sardine e tonno
• olio di fegato di alcuni pesci
• tuorlo d’uovo,
• latticini,
• funghi esposti al sole.
Il sole rappresenta una necessità anche nel caso di vitamina proveniente da fonte alimentare, per la sua attivazione.
Ci sono comportamenti scorretti che però mettono a rischio la capacità fisiologica di giovarsi di questa preziosa sostanza: l’abuso di alcol e l’elevato dosaggio di alcuni farmaci ne riducono infatti l’assorbimento e l’attivazione/produzione.
Le funzioni della vitamina D
La vitamina D partecipa allo sviluppo scheletrico sia in utero che durante l’infanzia e contribuisce al mantenimento della salute delle ossa in età adulta. Il principale meccanismo della vitamina D è quello di portare a un adeguato prodotto calcio-fosforo con conseguente mineralizzazione ossea efficace. In caso di malattie ossee è infatti consigliata la sua supplementazione.
Il meccanismo attraverso il quale la vitamina D svolge il suo ruolo è stato collegato all’assorbimento attivo di calcio dall’intestino e alla stimolazione locale della mineralizzazione della matrice ossea appena formata. Infatti il metabolita attivo della vitamina D, il 1,25 (OH) 2D, si lega al recettore specifico (VDR) nelle cellule intestinali e stimola la formazione di una sostanza detta calbindina, che lega il calcio e influenza i canali del calcio. È stato ipotizzato che la mineralizzazione ossea sia un processo passivo che si verifica quando sono disponibili calcio e fosfato in concentrazione adeguate.
La vitamina D svolge anche il ruolo di ormone, e come tale ha numerosi effetti extrascheletrici, regolando fino a circa 2000 geni. Di conseguenza la 1,25-diidrossivitamina D influenza un gran numero di vie biologiche, e questo spiega come mai la sua carenza e vivere a latitudini elevate pare comportare un aumento del rischio per diverse patologie croniche tra cui quelle autoimmuni, cardiovascolari (CV), infettive, cancro, schizofrenia e diabete di tipo 2.
La carenza di vitamina D provoca astenia, maggiore rischio di infezioni, irritabilità, inappetenza e, negli anziani, maggiore fragilità ossea. Nei bambini subentra il rischio di rachitismo e quindi di una conseguente deformazione delle ossa e arresto della crescita. Negli adulti invece porta osteomalacia, una intensa forma di decalcificazione ossea.
Attualmente, c’è consenso sul fatto che livelli di 25 (OH)D inferiori a 20 ng/mL (50 nmol/L) sono associati, negli adulti, a:
• iperparatiroidismo secondario, osteomalacia o osteoporosi;
• debolezza muscolare dell’arto prossimale, atassia e aumento del rischio di cadute;
• aumento del rischio di fratture;
• alterazione di efficacia dei farmaci usati per l’osteoporosi.
Diversi rapporti, da approfondire con ulteriori studi, mostrano un’associazione tra la carenza di vitamina D e l’aumento del rischio di mortalità, cancro (in particolare colon, prostata e cancro al seno), malattie cardiovascolari, tipo 1 e diabete di tipo 2, malattie autoimmuni e diminuzione della fertilità. Le proprietà antitumorali di questo nutriente paiono dovute all’inibizione dell’angiogenesi intorno alle cellule cancerose, alla promozione dell’apoptosi nelle cellule vecchie o anormali e alla differenziazione delle cellule tumorali. Inoltre, è stato riportato che la vitamina D inibisce l’invasività delle cellule tumorali, la metastasi e la proliferazione.
Un eccesso di vitamina D può provocare sintomi simili a quelli causati dalla sua carenza. Inoltre può portare anche a perdita di peso, stitichezza, dolori alle articolazioni, cefalea, danni renali e calcificazioni nelle pareti dei vasi, nel cuore o nei polmoni; può causare calcificazioni diffuse negli organi, contrazioni e spasmi muscolari, vomito, diarrea.
Chi deve fare i controlli?
Le persone che manifestano sintomi indicativi di un’alterazione della concentrazione di vitamina D o che hanno comportamenti inappropriati (per esempio alcolisti) o assumono farmaci che potrebbero influire dovrebbero consultarsi con il medico per valutare se è consigliabile o meno effettuare lo screening per carenza di vitamina D.
In particolare, vanno considerate a rischio alcune categorie di pazienti:
• con malattie ossee, come osteomalacia e osteoporosi (in particolare se si devono usare farmaci ossei attivi, in ogni caso si suggerisce di controllare i livelli di 25(OH)D in qualsiasi paziente con diagnosi di osteoporosi prima di iniziare il trattamento)
• anziani con storia di cadute
• con insufficienza epatica,
• con malattie renali,
• bambini e adulti con obesità,
• con malassorbimento (congenito o acquisito) e chirurgia bariatrica
• durante la gravidanza e l’allattamento,
• non esposti a una sufficiente esposizione al sole
• con fibrosi cistica
• con iperparatiroidismo
• in terapia con farmaci che interferiscono con il metabolismo della vitamina D (farmaci antiepilettici, glucocorticoidi, per l’AIDS, antifungini, antifungini, colestiramina)
• con disturbi granulomatosi e alcuni linfomi (in questi casi, dovrebbe essere testato anche l’1.25(OH)2D)
Non è raccomandato lo screening nelle persone sane e non a rischio.
Quando ricorrere alla supplementazione?
La carenza subclinica di vitamina D è una condizione altamente prevalente nella popolazione generale e, negli ultimi anni, un numero crescente di soggetti viene trattato con diverse formulazioni di vitamina D. Una indagine del National Health and Nutrition Examination (NHANES, 2001–2006) ha dimostrato che sono a rischio di insufficienza una persona su 4 e che l’8% della popolazione presenta livelli molto bassi. Negli ultimi 20 anni sono stati condotti diversi studi sullo stato della vitamina D in Italia in popolazioni con diverse fasce di età e condizioni di vita.
È stato stimato che sono presenti livelli circolanti di 25 (OH)D inferiori a 12 ng/mL (30 nmol/L) nel 76% delle donne italiane di età superiore ai 70 anni, alla fine dell’inverno.
Nei soggetti istituzionalizzati o con malattie, la percentuale di soggetti con ipovitaminosi D era ancora maggiore. Inoltre anche nel 30% di donne giovani e sane è emersa una carenza, più accentuata in inverno ovviamente.
Il primo consiglio è sempre quello di assumere uno stile di vita sano, esponendosi un po’ di più ai raggi solari ed evitando comportamenti scorretti come l’abuso di alcool. Ma in caso questo non fosse sufficiente a colmare la carenza o se ci fossero i fattori di rischio sopracitati si suggerisce di assumere la vitamina D (vitamina D2 o vitamina D3), per via orale.
I dati bibliografici sono univoci per l’indicazione al trattamento con vitamina D in tutti i soggetti con livelli sierici di 25(OH)D < 20 ng/mL (50 nmol/L) ma sono controversi per valori compresi tra 20 e 30 ng/mL (50 e 75 nmol/L). Pazienti con osteopenia, osteoporosi (a maggior ragione se in trattamento), o in generale appartenenti a categorie a rischio dovrebbero mantenere concentrazioni ematiche superiori a 30 ng/mL (75 nmol/L).
Bibliografia
• L’alimentazione nella pratica motoria e sportiva. Ministero della Salute.
• Giovanna Muscogiuri. Vitamin D: past, present and future perspectives in the prevention of chronic diseases. European Journal of Clinical Nutrition (2018) 72:1221–1225
• Aiuta le tue ossa! A tavola, con attività Fisica e sole. Osteoporosi e stili di vita http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_opuscoliPoster_258_allegato.pdf
• Vitamine. Epicentro http://www.epicentro.iss.it/problemi/vitamine/vitamine.asp
• Cesareo R et al. Italian Association of Clinical Endocrinologists (AME) and Italian Chapter of the American Association of Clinical Endocrinologists (AACE) Position Statement: Clinical Management of Vitamin D Deficiency in Adults. Nutrients 2018, 10, 546; doi:10.3390/nu10050546