Studio osservazionale conferma associazione tra carenza di vitamina D e glicemia nel sesso femminile



Uno studio brasiliano, recentemente pubblicato sulla rivista Menopause: The Journal of the North American Society, suggerisce l’esistenza di un’associazione tra livelli ridotti di vitamina D circolanti nel sangue [25(OH=D] e valori di glicemia più elevati, probabilmente determinato da una riduzione della suscettibilità all’insulina.

Pur essendo di natura osservazionale, lo studio suffraga osservazioni precedenti già documentate in letteratura (e delle quali abbiamo recentemente reso conto) di un’associazione tra i livelli di vitamina D e il diabete tipo 2.

Vitamina D e diabete: un legame sospetto indagato da tempo

Già da tempo, in letteratura, vi sono studi osservazionali e di intervento che suggeriscono come la condizione di deficit vitaminico D rappresenti un marker di un cattivo stato di salute generale.

Nello specifico, alcuni studi hanno documentato l’esistenza di una relazione acclarata tra la vitamina D e il controllo glicemico, dimostrando che la glicemia migliora nei soggetti con livelli sierici più elevati di vitamina D, probabilmente in ragione di un miglioramento della suscettibilità all’insulina, come pure della funzione beta cellulare pancreatica.

Lo studio in questione ha voluto verificare la correttezza di questa associazione in un campione di 680 donne brasiliane di età compresa tra i 35 e i 74 anni.

Alcuni dettagli sul disegno dello studio

Una prima peculiarità di questo studio osservazionale, che lo distingue dagli altri finora condotti sull’argomento, consiste nel fatto che il campione di individui è stato calcolato sulla base della prevalenza media della condizione di ipovitaminosi D (77,4%). La prevalenza è stata determinata tramite rassegna di 32 studi, condotti in vari Paesi e pubblicati tra il 2007 e il 2016, dai quali emerge che la condizione di ipovitaminosi D è definita dal riscontro di valori sierici di 25(OH)D al di sotto dei 30 ng/ml.

Per calcolare le dimensioni numeriche del campione di soggetti da arruolare, è stata utilizzata dai ricercatori una formula matematica messa a punto da Luchesa e Chaves-Neto (2), che ha fissato in almeno 269 individui la dimensione numerica ideale del campione di soggetti da includere nello studio.

Ciò premesso, i ricercatori hanno reclutato 680 donne, di età compresa tra i 35 e i 74 anni, che sono state sottoposte a prelievo ematico per la determinazione dei livelli di 25(OH)D e di glicemia.

I livelli di glucosio nel sangue sono stati classificati come <100 mg/dl o uguali o superiori a questa soglia. I livelli totali di 25(OH)D, invece, sono stati classificati come uguali o maggiori di 30 ng/ml vs. <30 ng/ml e come uguali o maggiori di 20 ng/ml vs. <20 ng/ml, dal momento che questi 2 range di concentrazione rappresentano i principali limiti di riferimento stabiliti nelle Linee Guida  e nelle Consensus Conference.

Tutte le donne reclutate nello studio con amenorrea da almeno 12 mesi sono state considerate in post-menopausa mentre quelle andate incontro ad isterectomia sono state considerate in post-menopausa se avevano un’età pari almeno a 50 anni.

Risultati principali

Il livello medio di glicemia a digiuno rilevato nel campione di donne è stato pari a 105 mg/dl (range: 26-401 ng/dl). Quanto ai livelli sierici a digiuno di 25(OH)D, questi sono risultati <30 ng/ml nel 65,4% del campione e <20 ng/ml nel 25,6% dei casi.

Il riscontro di livelli sierici di 25(OH)D<30 ng/ml è risultato positivamente associato con una glicemia uguale o superiore a 100 mg/dl (odds ratio [OR] 1,29; IC95%=1,05-1,57); analoga correlazione è stata documentata per livelli sierici di 25(OH)D<20 ng/ml (OR=1,25; IC95%=1,04-1,50).

Ventiquattro donne dello studio (sul totale di 680), pari al 3,5% del campione, hanno riferito nelle interviste previste nel protocollo di far ricorso a supplementazioni di vitamina D.

Tale intervento è risultato negativamente associato con il riscontro di livelli sierici di 25(OH)D <30 ng/ml (OR=0,44; IC95%=0,19-0,99, P=0,049). A questo riguardo tuttavia, i ricercatori hanno ammesso di non aver raccolto informazioni relativo al dosaggio impiegato o alla durata temporale dell’intervento di supplementazione.

Inoltre, anche l’esposizione abituale al sole di è dimostrata associata negativamente con livelli sierici di 25(OH)D <30 ng/ml (OR=0,68; IC95%=0,48-0,96, P=0,028).

Valori di glicemia uguali o superiori a 100 mg/dl non sono risultati associati, invece, con la supplementazione vitaminica D (OR=0,89, IC95%= 0,53-1,51, P=0,679), come pure con l’esposizione abituale al sole, riferita dalle partecipanti allo studio (OR=1,03; IC95%= 0,85-

1,25, P=0,848).

Da ultimo, i risultati dell’analisi multivariata, corretta in base all’età, all’indice di massa corporea e ai valori di pressione sistolica, hanno confermato l’associazione sopra riportata tra il riscontro di livelli glicemici uguali o superiori a 100 mg/dl e valori sierici di 25(OH)D inferiori sia a 20 ng/ml che a 30 ng/ml.

Cosa aggiunge questo studio rispetto a quanto già conosciuto

I risultati di questo studio osservazionale hanno mostrato che la prevalenza di ipovitaminosi D nel campione di donne brasiliane considerato era elevata, collocandosi a valori percentuali pari, rispettivamente, al 65,4% o al 26,6%, a seconda che si consideri il punto di cut-off di 25(OH)D di 30 ng/ml o 20 ng/ml.

Tali dati di prevalenza, pertanto, si sono rivelati simili a quelli documentati nello studio osservazionale Usa NHANES, mentre si sono dimostrati inferiori a quelli rilevati in studi europei. A tal proposito, i ricercatori hanno giustificato tale differenza con l’esposizione solare prolungata al sole tipica della popolazione sud-americana considerata – cosa che rende, se possibile, ancora più rilevante il problema dell’ipovitaminosi D nel continente Europeo.

Per il resto, lo studio suffraga osservazioni precedenti di letteratura (peraltro maggioritarie) relative all’esistenza di un’associazione positiva tra una glicemia elevata e il riscontro di ipovitaminosi D (indipendentemente dalla soglia considerata).

Il limite evidente di questo studio dipende, invece, ancora una volta, dal suo disegno osservazionale, che non consente di stabilire se l’associazione osservata sia causale oppure improntata al meccanismo causa-effetto.

E’ auspicabile, comunque, che vengano messi a punto ulteriori studi di popolazione che indaghino l’associazione tra ipovitaminosi D e livelli glicemici, come pure la prossima messa a punto di studi di popolazione che siano in grado di stabilire, una volta per tutte, se i livelli di 25(OH)D sono effettivamente in grado di migliorare la glicemia (aprendo la strada ad interventi di supplementazione vitaminica ad hoc in funzione preventiva anti-diabete).

 

Bibliografia
Valladares T et al. Higher serum levels of vitamin D are associated with lower blood glucose levels. Menopause 2019; e-pub ahead-of-print
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