Carenza di vitamina D aumenta gravità del Covid-19



La carenza di Vitamina D nei malati Covid-19 sarebbe collegata alla necessità di terapia intensiva e a minori possibilità di sopravvivenza.

Al contrario, buoni livelli di vitamina D parrebbero correlati a un minore rischio di sviluppare gravi difficoltà respiratorie ed esiti letali in caso di infezione da SARS-Cov-2.

É quanto emerge da uno studio osservazionale italiano presentato l’11 settembre al congresso dell’American Society for Bone and Mineral Research (ASBMR).

 

Vitamina D: i dati evidenziano un suo possibile ruolo

Questa ricerca si inserisce in un dibattito acceso che vede come principale protagonista la vitamina D. Un crescente numero di evidenze e dati epidemiologici, infatti, suggeriscono un collegamento tra la gravità di Covid-19 e la sua prevalenza nelle aree caratterizzate da insufficienza di vitamina D. I Paesi con livelli medi più bassi di vitamina D o una minore esposizione alle radiazioni UVB presentano infatti una più alta letalità dovuta alla patologia. Anche i gruppi demografici noti per essere a più alto rischio di carenza di vitamina D (come gli individui di colore, gli anziani, i residenti delle case di cura e quelli con obesità e diabete) sono ad alto rischio di ospedalizzazione e mortalità per questa infezione.

Lo studio

In questa ricerca, presentata al congresso da Luigi Gennari, del Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Neuroscienze dell’Università di Siena, sono state studiate l’associazione tra i livelli di 25-idrossivitamina D (25OHD) e la gravità e la mortalità di Covid-19. I ricercatori hanno esaminato prospetticamente 103 pazienti (di età media di 66,1 anni) ricoverati in ospedale per Covid-19 sintomatica e 52 persone con sintomi lievi che non hanno avuto disfunzioni respiratorie. I valori di vitamina D dei partecipanti malati sono stati confrontati con quelli di 206 controlli, di età e sesso paragonabili, che sono stati sottoposti a una misurazione di 25OH D nell’ambito di una visita di routine da gennaio a marzo.

Al momento del ricovero in ospedale, i livelli di 25OHD sono risultati inferiori nei pazienti con Covid-19 sintomatico (media, 18 ng/mL) rispetto a quelli con sintomi lievi (30,3 ng/mL) o ai controlli (25,4 ng/mL; p<0,0001 per entrambi i confronti) e sono stati inversamente associati ai livelli di interleuchina (IL)-6 (p=0,004).

Dopo il ricovero in ospedale, 54 pazienti con Covid-19 sintomatico sono stati ricoverati in terapia intensiva (ICU) a causa di una grave sindrome da distress respiratorio acuto. Questi pazienti avevano un livello di 25OHD inferiore (14,4 ng/mL) rispetto ai soggetti con Covid-19 sintomatico che non richiedevano il ricovero in terapia intensiva (22,4 ng/mL, p=0,0001) e livelli di IL-6 più alti (49,6 contro 28,8 pg/mL, p=0,016, rispettivamente).

Diciannove pazienti ricoverati in ospedale sono deceduti a causa della sindrome da distress respiratorio acuto, dopo una media di 19 giorni. Essi presentavano livelli di 25OHD inferiori (13,2 ng/mL) rispetto ai malati sopravvissuti (19,3 ng/mL, p=0,03) e livelli di IL-6 più alti (rispettivamente 61,0 contro 34,9 pg/mL, p=0,02).

“È interessante notare che i livelli di 25OHD sono stati inversamente associati sia alla sindrome da distress respiratorio acuto, che richiede il ricovero in terapia intensiva, sia alla mortalità, indipendentemente dai livelli di IL-6 e dalla presenza di comorbidità maggiori”, hanno scritto gli autori. “I nostri dati danno un forte supporto osservazionale ai precedenti suggerimenti che la riduzione dei livelli di vitamina D possa favorire la comparsa di gravi disfunzioni respiratorie e aumentare il rischio di mortalità nei pazienti affetti da COVID-19”.

Carenza di vitamina D: fattore di rischio indipendente per l’infezione severa da SARS-Cov-2

In conclusione, bassi livelli sierici di vitamina D rappresentano un fattore di rischio indipendente per la forma sintomatica di Covid-19 con disturbi respiratori che richiede il ricovero in terapia intensiva e che presenta minore probabilità di sopravvivenza.

I nuovi dati forniscono dunque un forte supporto osservazionale alle precedenti supposizioni secondo cui la riduzione dei livelli di vitamina D possa favorire la comparsa di gravi disfunzioni respiratorie e aumentare il rischio di mortalità nei soggetti con infezione da SARS-Cov-2. Quindi determinare i livelli di vitamina D (25 idrossivitamina D) nelle persone che risultano positive al test per l’infezione da SARS-Cov-2 potrebbe aiutare a prevedere il rischio che la malattia diventi grave. Va sottolineato, però, che, sebbene sappiamo da diversi studi che un basso livello di vitamina D è associato a un rischio più elevato di avere il Covid-19 in forma grave, tale la correlazione non ne prova la causalità. Saranno pertanto necessarie ulteriori ricerche per verificare se gli integratori di vitamina D possano prevenire il rischio di insufficienza respiratoria nei pazienti con infezione da SARS-Cov-2.

Nel frattempo, visto che i nuovi dati supportano molteplici risultati precedenti che suggeriscono che livelli più elevati di vitamina D siano associati a risultati migliori, l’uso di integratori per contrastare la carenza di vitamina D potrebbe essere di importanza per la riduzione del carico clinico dei focolai di infezione da SARS-CoV-2 in corso e futuri. Questo, soprattutto, nelle persone che non possono esporsi regolarmente al sole e nella stagione invernale, quando nella maggior parte dei paesi l’esposizione alle radiazioni solari ultraviolette-B (UVB) non permette alla pelle di sintetizzare la vitamina D.

Fonte

[1023] Vitamin D Deficiency Is Independently Associated with COVID-19 Severity and Mortality. Luigi Gennari. September 11. ASMBR 2020 Annual Meeting Virtual Event.