Rischio di fibrillazione atriale, status vitamina D ininfluente



Lo status vitaminico D non sembra giocare un ruolo nell’eziologia della fibrillazione atriale (FA) nell’anziano. Queste le conclusioni di uno studio prospettico di coorte di recente pubblicazione online ahead-of-print sulla rivista PlosOne.

La FA rappresenta l’aritmia cronica di più frequente riscontro, responsabile dell’incremento del rischio di morbilità e mortalità CV. Nonostante la ricerca nel settore sia molto avanzata, ancora oggi, però, permagono delle zone d’ombra relativamente alla comprensione dell’etiopatogenesi e dei meccanismi alla base della FA.

E’ noto in letteratura il ruolo della vitamina D nella regolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAA) e dei meccanismi alla base dell’infiammazione, due fattori entrambi implicati nella fisiopatologia della FA.

Obiettivo dello studio, pertanto, è stato quello di studiare l’associazione tra lo status vitaminico D con il rischio di FA nell’anziano.

Lo studio, condotto nell’ambito del Rotterdam Study, uno studio epidemiologico condotto nella popolazione anziana e di mezza età della città olandese, avente lo scopo di studiare frequenza e determinanti di malattia, ha preso in considerazione 3.395 soggetti non affetti da FA all’inizio del periodo di osservazione di cui erano noti i livelli di idrossivitamina D.

L’età mediana dei partecipanti allo studio era pari a 71 anni; il 60% del campione era costituito da donne, mentre la concentrazione media di 25(OH)D era pari a 49,3 nmol/l.

Lo status di deficit vitaminico era definito da livelli di 25(OH)D<50 nmol/l, quello di insufficienza vitaminica da livelli compresi tra 50 nmol/l e 75 nmol/l mentre la condizione di normalità era definita da livelli di vitamina D> 75 nmol/l.

Stando ai cutoffs sopra menzionati, il 57% della popolazione era in condizione di deficit vitaminico, il 27% in condizioni di insufficienza vitaminica e il 16% in condizioni di livelli vitaminici nella norma.

I soggetti con deficit o insufficienza vitaminica erano più frequentemente di sesso femminile, più anziani, con un basso livello di istruzione e di reddito. Inoltre erano più frequentemente caratterizzati da un BMI elevato, dalla presenza di diabete e di malattia CV.

Dopo un follow-up medio di 12 anni, il 7,7% del campione di popolazione reclutato nello studio è andato incontro a FA.

L’associazione tra i livelli di 25(OH)D e l’incidenza di FA è stata verificata mediante modelli di regressione logistica di Cox.

La valutazione delle variabili confondenti è stata effettuata mediante 3 analisi di Cox basate su fattori socio-demografici (età, sesso) e/o legati allo stile di vita (status di fumatore e trattamento con farmaci antipertensivi).

I risultati hanno mostrato in tutti i 3 modelli che lo status vitaminico non era associato alla FA (modello aggiustato in base a fattori demografici e legati allo stile di vita: HR per incremento 10 unità livelli ematici di 25(OH)D= 0,96; IC95%=0,91-1,02; HR per insufficienza vitaminica= 0,82; IC95%= 0,60-1,11; HR per status adeguato= 0,76; IC95%= 0,52-1,12 rispetto a condizione deficit).

Nel commentare i risultati, gli autori riconoscono che il loro studio era viziato da alcuni limiti metodologici: Tra questi vanno ricordati: 1) la presenza di misurazioni singole di 25(OH)D che potrebbero non riflettere i valori reali presenti durante l’insorgenza di FA; 2) la diagnosi di FA per ECG o tramite cartella clinica, che potrebbe avere sottostimato la reale prevalenza di questa condizione, spesso asintomatica; 3) la presenza nello studio di soggetti esclusivamente di etnia caucasica.

Nel complesso, i risultati non supportano l’esistenza di un’associazione tra lo status vitaminico D e la patogenesi di FA. Saranno necessari ora nuovi studi che possano avvalersi di misurazioni ripetute della vitamina D e possano essere condotti in popolazioni di altre etnie per verificare l’esistenza o meno dell’associazione sopra menzionata.

 

Vitezova A et al. Vitamin D and the Risk of AtrialFibrillation- The Rotterdam Study. PLoSONE 10(5):e0125161. doi:10.1371/journal.pone.0125161