Carenza di vitamina D, studio italiano mostra associazione con sindrome coronarica acuta



La carenza di vitamina D è associata all’insorgenza della sindrome coronarica acuta (SCA). Questo è quanto mostrato da uno studio del Centro Cardiologico Monzino i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Medicine.

La correzione della carenza di vitamina D e il mantenimento di uno stato ottimale possono essere un approccio promettente per il trattamento acuto e la prevenzione secondaria della SCA anche se questo andrebbe dimostrato in trial interventistici con supplementazione di vitamina D.

La 25-idrossivitamina D (25 [OH] D), la principale forma di vitamina D circolante nel sangue, è fondamentale per il metabolismo osseo e l’omeostasi del calcio ma anche per altre funzioni dell’organismo come il mantenimento di un buono stato del sistema cardiovascolare. I recettori per la vitamina D sono stati, infatti, trovati sul miocardio e nelle cellule vascolari.

L’ipovitaminosi D, sempre più diffusa nelle grandi città industrializzate, è stata indipendentemente associata a un aumento del rischio di sviluppare infarto miocardico acuto e insufficienza cardiaca.

Non è mai stato ad oggi dimostrato il collegamento tra bassi livelli di vitamina D e patogenesi delle sindromi coronariche acute che sono le diverse manifestazioni cliniche della cardiopatia ischemica e, quindi, delle patologie delle arterie coronarie.

Lo scopo di questo studio prospettico è stato quello di valutare l’associazione tra i livelli di 25 (OH) D, nel momento del ricovero in ospedale, durante la degenza e dopo 1 anno, valutando morbilità e mortalità in una coorte non selezionata di pazienti con SCA.
L’end point primario dello studio era la mortalità ad 1 anno.

Sono stati valutati come end point secondari quali la mortalità ospedaliera e grandi eventi clinici avversi ospedalieri (MACE) (morte, sanguinamento maggiore (necessità di trasfusione di sangue),edema polmonare acuto (con o senza la necessità di ventilazione meccanica), shock cardiogeno, tachiaritmie clinicamente significative (fibrillazione ventricolare, tachicardia ventricolare sostenuta, fibrillazione atriale) e bradiaritmie che richiedono l’impianto di pacemaker e lesione renale acuta (definita in base al danno renale acuto). Al follow-up di 1 anno sono stati anche considerati ulteriori eventi avversi.

La 25 (OH) D è stata misurata in 814 pazienti con sindrome coronarica acuta al momento del ricovero in ospedale.
Livelli sierici di vitamina D superiori ai 30 ng/mL sono stati considerati come valori normali; livelli tra 29 e 21 ng/mL sono stati classificati come insufficienza e livelli inferiori ai 20 ng/mL come deficit.

I risultati durante la degenza in ospedale e a 1 anno sono stati valutati secondo i quartili dei livelli di 25 (OH) D, usando il più basso quartile come riferimento.
Novanta-tre (11%) pazienti avevano livelli normali di 25 (OH) D, mentre 155 (19%) e 566 (70%) aveva insufficienza di vitamina D e deficit, rispettivamente. Il livello mediano di 25 (OH) D era simile tra pazienti con infarto del miocardio con elevazione del tratto ST (STEMI) e quelli con infarto NSTEMI (14.1 [IQR 9,0-21,9] ng/mL e 14.05 [IQR 9,1-22,05] ng/ml, rispettivamente; p=0.88).

Il più basso quartile di 25 (OH) D è stato associato con un rischio più elevato di diversi complicazioni in ospedale, tra cui la mortalità. Ad un follow-up mediano di 366 giorni (IQR 364-379), il quartile più basso di 25 (OH) D, dopo aggiustamento per i principali fattori di confondimento, è rimasto significativamente associato a 1 anno di mortalità (p<0.01).

Risultati simili sono stati ottenuti quando pazienti STEMI e NSTEMI sono stati considerati separatamente.

Quasi il 90% delle persone con SCA (considerando gli insufficienti e quelli con deficit) avevano livelli molto bassi di 25[OH]D, e questi soggetti a un anno dal ricovero avevano anche progressione maggiore della malattia con aumentato rischio di mortalità e un incremento delle complicanze cliniche intra-ospedaliere. Anche il rischio di sanguinamento con necessità di trasfusione era molto più elevato.

In conclusione, nei pazienti con sindrome coronarica acuta, una grave carenza di vitamina D è indipendentemente associata a prognosi non favorevole in ospedale e dopo 1 anno.
I livelli di vitamina D potrebbero rappresentare un indicatore di rischio o un fattore di rischio per la SCA ma va chiarito in studi futuri.

 

Emilia Vaccaro

De Metrio M. et al. Vitamin D plasma levels and in-hospital and 1-year outcomes in acute coronary syndromes: a prospective study. Medicine (Baltimore). 2015 May;94(19):e857. doi: 10.1097/MD.0000000000000857.
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