Pubblicato venerdì 07 marzo 2014
Le pazienti colpite da un tumore al seno che hanno livelli sierici elevati di vitamina D hanno una probabilità di sopravvivenza quasi doppia rispetto a quelle con livelli bassi di questo micronutriente. È questa la conclusione a cui sono arrivati gli autori di una metanalisi pubblicata sul numero di marzo della rivista Anticancer Research.
Le analisi dei tassi di mortalità hanno evidenziato, infatti, che le donne appartenenti al quintile più alto dei livelli sierici di 25 -idrossivitamina D (25[OH]D) avevano un hazard ratio di decesso pari a 0,56 (IC al 95% 0,4-0,7; P < 0,0001) rispetto alle donne nel quintile più basso e i dati sono risultati coerenti nei singoli studi inclusi nella metanalisi.
Inoltre, l’analisi evidenzia una forte relazione inversa e lineare dose risposta tra livelli sierici di 25(OH)D e percentuali di mortalità dovuta al cancro al seno.
“Non c’è ragione di attendere che si facciano ulteriori trial per valutare l’aggiunta di supplementi di vitamina D ai regimi terapeutici standard, in quanto è già stato stabilito quale sia la dose sicura di vitamina D necessaria per raggiungere livelli sierici superiori a 30 ng/ml” afferma il primo autore dello studio Cedric Garland, dell’Università della California di San Diego, in un comunicato stampa diffuso dall’ateneo americano.
Heather Hofflich, coautrice del lavoro, aggiunge che un’implicazione dello studio è appunto di suggerire l’opportunità di considerare la vitamina D come coadiuvante alle terapie convenzionali del cancro al seno.
L’autore raccomanda di fare studi clinici randomizzati controllati per confermare i risultati del suo gruppo, ma nel contempo suggerisce ai medici di considerare l’aggiunta della vitamina D alla cura standard antitumorale per le donne con un tumore al seno e poi monitorare attentamente la paziente.
In studi precedenti, Garland e i suoi collaboratori hanno evidenziato che bassi livelli di vitamina D sono associati a un rischio elevato di sviluppare un cancro al seno in premenopausa. Questa scoperta, spiega ricercatore, ha spinto il suo gruppo a chiedersi quale sia la relazione tra i valori di 25-idrossivitamina D – un metabolita prodotto dall’organismo a partire dalla vitamina D assunta con la dieta – e la percentuali di sopravvivenza nelle colpite da tumore alla mammella.
Per raggiungere quest’obiettivo, i ricercatori californiani hanno eseguito una metanalisi di cinque studi con un totale complessivo di 4443 pazienti colpite da un carcinoma mammario, nelle quali erano stati misurati i valori di vitamina D al momento della diagnosi e che sono state seguite in media per 9 anni.
Gli autori hanno raggruppato le pazienti in cinque categorie di valori sierici di 25(OH)D e quelle del quintile più alto avevano una concentrazione di vitamina ? 30 ng/ml, mentre quelle nel quintile più basso una concentrazione ? 17 ng/ml. Il livello medio di 25(OH)D nelle donne con un cancro al seno negli Stati Uniti è pari a 17 ng/ml, riferiscono Garland e i suoi colleghi.
Il confronto tra le pazienti con i valori più alti di 25(OH)D e quelle con i valori più bassi ha mostrato nelle prime un rischio di decesso inferiore del 44% rispetto alle seconde.
Una precedente metanalisi di Garland e del suo gruppo aveva mostrato che le donne con valori sierici di 25(OH) D ? 50 ng/ml hanno un rischio inferiore del 50% di sviluppare un cancro al seno.
Anche se ci sono alcune variazioni nell’assorbimento, chi assume 4000 UI al giorno di vitamina D con la dieta o attraverso integratori riesce, di norma, a raggiungere valori di vitamina ? 50 ng/ml. Tuttavia, l’introito raccomandato giornaliero di vitamina D secondo i National Institutes of Health è pari a 600 UI negli adulti e 800 UI nelle persone al di sopra dei 70 anni.
“I metaboliti della vitamina D aumentano la comunicazione tra le cellule attivando una proteina che blocca la divisione cellulare aggressiva. Finché sono presenti i recettori della vitamina D, la crescita tumorale viene impedita, così come la sua irrorazione sanguigna, e questi recettori non si perdono finché il tumore non ha raggiunto uno stadio molto avanzato” spiega Garland nel comunicato. “Questa è la ragione per cui le pazienti con livelli ematici elevati di vitamina D hanno una sopravvivenza superiore”.
Finora, spiegano Garland e i colleghi nella discussione, molti studi si sono focalizzati sul ruolo della vitamina D e dei suoi metaboliti nella prevenzione del tumore al colon, della mammella e di altri adenocarcinomi, ma solo pochi hanno indagato sulla possibile associazione tra lo stato di vitamina D al momento della diagnosi e la sopravvivenza nelle donne colpite da un cancro al seno. Tuttavia, gran parte degli studi fatti ha mostrato risultati molto promettenti.
I meccanismi mediante i quali metaboliti della vitamina D possono prevenire il cancro possono spiegare anche l’aumento della sopravvivenza nelle pazienti che hanno già sviluppato un tumore al seno e hanno livelli sierici elevati di 25(OH ) D al momento della diagnosi.
Secondo l’ipotesi di prevenzione del cancro da parte della vitamina D, il cancro si sviluppa in diverse fasi distinte che possono essere spiegati da un modello teorico chiamato dagli autori anglosassoni Disjunction-Initiation-Natural selection-Overgrowth-Metastasis-Involution-Transition (DINOMIT).
Anche se questo modello è stato applicato principalmente nel contesto della prevenzione del cancro, molte delle fasi più avanzate che si verificano in carenza di vitamina D, come l’iniziazione, la selezione naturale, la crescita eccessiva e la meta statizzazione potrebbero contribuire a spiegare l’effetto di metaboliti della vitamina D sui tumori esistenti.
Secondo quest’ipotesi , la crescita di un tumore può essere arrestato in quasi ogni fase del modello DINOMIT ripristinando livelli elevati di 25(OH)D nel siero, che si traducono in una sovra regolazione dell’E- caderina e nel ripristino di uno stato ben differenziato.
La E-caderina è una molecola coinvolta nell’adesione tra cellule epiteliali che sembra anche avere un ruolo protettivo nel cancro, dal momento che la sua perdita è associata con la progressione tumorale e la formazione di metastasi in una serie di diversi tipi di cancro.
Studi di laboratorio hanno dimostrato effetti antitumorali del metaboliti della vitamina D su tre fasi cruciali dello sviluppo dei tumori al seno: differenziamento, apoptosi e angiogenesi. Ed è possibile, ipotizza il gruppo della UCSD, che anche l’associazione tra i valori sierici di 25(OH)D e sopravvivenza dipendano appunto dal mantenimento della differenziazione, dalla stimolazione dell’apoptosi e dall’inibizione dell’angiogenesi.
L’insieme delle evidenze disponibili, concludono gli autori, suggerisce, comunque, che nelle pazienti con un cancro al seno potrebbe essere prudente misurare i livelli di 25(OH)D e, se troppo bassi, riportarli nel range di normalità (30-80 ng/ml) in attesa che si facciano gli studi controllati e randomizzati necessari per confermare i risultati della metanalisi.
Questi studio, benché molto interessante, è una ricerca sperimentale che per ora non deve dare alcuna indicazione terapeutica per la quale sono necessarie, da una parte maggiori evidenze cliniche, dall’altra le indispensabili approvazioni delle autorità regolatorie.
S.B. Mohri, et al Meta-analysis of Vitamin D Sufficiency for Improving Survival of Patients with Breast Cancer. Anticancer Research 2014;34(3):1163-66
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Alessandra Terzaghi